“Questo per voi il segno: un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Lc. 2,12
Card. Arrigo Miglio
Le parole che l’Angelo rivolge ai Pastori, la Notte di Natale, parlano di un segno: un segno vivo, i vagiti di un neonato, ma un segno piccolo, che quasi non possiamo immaginarne uno più piccolo, e subito riconosciamo lo stile di Dio, che tante volte incontriamo nelle pagine della Bibbia, uno stile paradossale che sorride umoristicamente dello stile borioso dei potenti.
In questo Natale sentiamo forte il bisogno di chiedere a Dio un segno, e forse anche più di uno: il pensiero corre ai paesi in guerra, o meglio alle popolazioni vittime della guerra, guerra che non è più o non principalmente tra un paese e l’altro ma tra i diversi gruppi di potere e così tutti i paesi sono anche vittime della guerra, a cominciare dai bambini. Abbiamo davanti agli occhi le immagini dei bambini morti e feriti di Gaza, ma non dimentichiamo quelli rimasti vittime del 7 ottobre 2023; non possiamo dimenticare l’Ukraina e la Siria, mentre ogni rigurgito di antisemitismo ci riporta le immagini dei bambini deportati nei campi di sterminio.
Sentiamo il bisogno di chiedere un segno al Signore per tutti i nostri giovani, in primo quelli rimasti vittime sulle nostre strade: ogni angolo della nostra diocesi ha le sue lacrime e i suoi mazzi di fiori collocati lungo la strada, e in particolare questo Natale sarà triste per Iglesias nel ricordo di Aurora e Riccardo. Ma troppi altri sono vittime di una cultura che uccide l’amore per la vita o che non sa trasmettere gioia vera e voglia di vivere.
Abbiamo bisogno di un segno anche per tante nostre famiglie, dove lo spettro della perdita del lavoro continua ad essere una nube opprimente, o dove non si riesce più a ritrovare un gesto di amore e di riconciliazione proprio quando sarebbe più necessario essere uniti e forti.
L’Angelo della Notte Santa ci risponde con le parole dette ai Pastori: il Segno di gioia e di speranza è quel Bambino fragile e legato in fasce nella mangiatoia.
Questa è la tua risposta o Signore? Vuoi prenderti gioco di noi? O ci chiedi di ritrovare speranza rileggendo la favola di Natale? Che non sia una favola lo capiamo subito, se per un momento smettiamo di fissare le luminarie natalizie e andiamo a rileggere il racconto realistico e scarno del Vangelo. E che Dio non si voglia prendersi gioco di noi lo possiamo vedere rileggendo nella Bibbia e nella Storia il suo modo paradossale di rovesciare i potenti dai troni per innalzare gli umili, come ci ripete Maria.
Il segno piccolo, anzi il Segno del Piccolo Bambino, è lì per farci comprendere la differenza tra potere umano e potenza divina, tra quello che possono le persone “che contano” e quello che effettivamente ottengono le “persone che non contano” davanti al Signore. Nel deserto in riva al Giordano la gente chiedeva a Giovanni: “che cosa dobbiamo fare?”. Noi tante volte ci chiediamo: “che cosa possiamo fare?” e ci sentiamo impotenti e scoraggiati. Abbiamo dimenticato la potenza divina dei piccoli segni e dei piccoli gesti, tanto più forti ed efficaci quanto più rimangono nascosti agli occhi degli uomini. Gesti di perdono nella prossima Giornata Mondiale della Pace, nodi da sciogliere nell’Anno del Giubileo: una forza divina straordinaria che il Signore mette nelle nostre mani in questo Natale: è il suo Dono.