Emerge dal Convegno diocesano la consapevolezza che progettare nuovi percorsi di IC è possibile
di don Giuseppe Tilocca
Pensare che un Convegno Diocesano possa risolvere i problemi che le comunità cristiane affrontano nella trasmissione della fede è assolutamente improbabile. Tuttavia, come papa Francesco ci insegna nella Evangelii Gaudium, siamo chiamati ad avviare processi e non a dominare spazi (cfr n. 261). Siamo chiamati, in pratica, non a cercare risposte facili e immediate al problema di un progressivo distacco dei nostri cristiani dalla fede, ma ad entrare in un “cantiere” in cui si costruiscono giorno per giorno i percorsi che dovrebbero aiutare a riaccenderla nei loro cuori.
Se c’è un concetto che è stato ribadito con forza da don Carmelo Sciuto – coordinatore della Commisione sull’Iniziazione Cristiana dell’Ufficio Catechistico Nazionale – negli interventi e nei laboratori da lui proposti durante il Convegno, è la necessità di una mentalità nuova per costuire nuovi percorsi di generazione alla fede. Sembra un concetto scontato. Ma, riflettendoci con attenzione, può aiutare a comprendere che il motivo di molte fatiche e frustrazioni pastorali è forse legato al fatto che si tende ad affrontare le sfide di un futuro, per lo più inedito, con la riproposizione di schemi concettuali legati al passato. Se, da un lato, è vero che i cambiamenti in atto nella società e nella Chiesa stiano presentando, da qualche tempo, dei problemi che spiazzano e disorientano sia i pastori che le comunità, dall’altro lato è ugualmente vero che tali cambiamenti richiedano un necessario impegno comunitario di riflessione e di riprogettazione delle pratiche pastorali.
C’è, inoltre, da aggiungere che in un mondo “globalizzato” le problematiche ecclesiali, al di là delle accentuazioni locali, presentano elementi comuni dal nord al sud della Chiesa italiana. È bene dirlo, non tanto per trovare consolazione nel classico “mal comune, mezzo gaudio”, quanto per gettare lo sguardo al di là delle esperienze vicine e capire in quale modo venga affrontata altrove la questione del “generare alla fede”, sia la fede di chi “inizia”, che la fede di chi “rincomincia”. A motivo di ciò, può essere di aiuto, nel cambiamento di mentalità, il sapere che, in alcune diocesi italiane, vi siano delle sperimentazioni di nuovi percorsi di Iniziazione cristiana che prevedono il coinvolgimento delle famiglie. Uno scoglio difficile da superare nel cambiamento di mentalità è, infatti, il riuscire a mettere in discussione le prassi abitualmente proposte. L’esperienza degli “atelier” nel Convegno aveva esattamente questa valenza: poter conoscere, sebbene in modo sommario, quattro pratiche di quattro regioni ecclesiastiche diverse d’Italia non tanto per apprendere metodi sperimentati altrove, quanto per riflettere sul fatto che sono tanti i modi in cui è possibile progettare i percorsi di Iniziazione cristiana e che, soprattutto, progettare percorsi di Iniziazione cristiana nuovi è possibile!
La necessità di una nuova mentalità è quindi, dobbiamo riconoscerlo, il passaggio previo per ogni progettazione futura. Possiamo, infatti, impegnarci nella progettazione e nella costruzione di un nuovo edificio, solo se si riconosce che quell’edificio ci è veramente indispensabile. Si possono, come talvolta avviene in tanti documenti ecclesiali a vari livelli, proporre le vie più interessanti e utili, ma queste saranno destinate purtroppo a rimanere progetti di carta se non vengono supportate dalla consapevolezza della necessità di un cambiamento che aiuti l’uomo del nostro tempo a vivere le sfide del mondo con fede.