di Giampaolo Atzei
Foto di Efisio Vacca
Tre giorni intensi, arricchiti dall’ascolto e dalla fecondità del confronto. Il convegno diocesano “Tenda di Speranza”, svoltosi da martedì 19 a giovedì 21 settembre, ha riunito oltre duecento persone che per tre sere hanno affollato la sala convegni del Lu’ Hotel di Carbonia, organizzati in ventuno tavoli con una decina di persone sedute in ciascuno di essi. Una vera esperienza vissuta nel cammino sinodale della Chiesa italiana, vissuta per la prima volta dal termine della pandemia, dove i tavoli di lavoro hanno facilitato i momenti di riflessione, sintesi e progetto che hanno seguito le relazioni di don Mario Aversano, vicario episcopale per la pastorale sul territorio delle diocesi di Torino e Susa.
Il tema del convegno, come espresso nel titolo, era focalizzato sulla sinodalità e la corresponsabilità, “il volto presente e futuro della nostra Chiesa locale”. Martedì sera, dopo il saluto e l’introduzione del cardinale Arrigo Miglio, il primo intervento di don Aversano, “Convocati a testimoniare insieme, la dimensione della corresponsabilità nella comunità cristiana”, ha aperto la riflessione sulla nostra dimensione di Chiesa a partire dalla lettura del vangelo di Marco (2,1-12) dove si racconta del paralitico che venne condotto a Gesù scoperchiando il tetto di una casa a a Cafàrnao. L’immagine della “casa scoperchiata” si è accompagnata alla riflessione sull’immagine della nostra Chiesa, la casa della con-vocazione, la Chiesa in uscita la cui intimità con Gesù si fa intimità itinerante, comunione missionaria, come si legge nell’Evangelii gaudium (EG 23).
Quest’analisi ecclesiologica ha aperto la via alla riflessione dell’indomani sul “ripensare la nostra presenza sul territorio, criteri e pratiche di conversioni ecclesiali”. Dopo la casa scoperchiata, la nuova immagine che ha segnato il convegno è stata quella dei “germogli”, ispirata da un altro passo del vangelo di Marco (4,26-34), in cui Gesù spiega che il regno di Dio è come un campo dove il seme germoglia e cresce, fino alla mietitura quando il frutto è maturo. Don Mario ha presentato l’esperienza della Chiesa di Torino, una diocesi, ora unita a quella di Susa “in persona episcopi”: un territorio vasto e vario, nella geografia, nella presenza umana, nella società, dalle valli prealpine alla pianura, dall’agricoltura all’industria, dalla pratica religiosa che resiste a comunità secolarizzate di vecchia data. Una sfida per una Chiesa che si rinnova, che propone la sua presenza, la sua Parola, il suo essere a partire dalla lettura del territorio, uscendo verso di esso: un volto nuovo della Chiesa che l’arcivescovo Roberto Repole ha diffuso nella sua recente “Lettera pastorale sul futuro delle Chiese di Torino e Susa” (il documento può essere scaricato dal sito www.diocesi.torino.it), in cui presenta i nuovi orizzonti della chiesa torinese, con la sua riorganizzazione che coinvolge finanche parrocchie e curia.
Orizzonti nuovi, segnati dal lavorare sull’ascolto della Parola e sulla formazione, per allargare il raggio della collaborazione, senza mai dare nulla per scontato, partendo dal dato concreto delle famiglie, di realtà sociali disaggregate, con bambini senza la minima educazione religiosa che spesso mai hanno tenuto in mano un Vangelo. Ancora, mons. Repole invita a lavorare sull’eucaristia, sulla valorizzazione del giorno del Signore: “si deve avviare un processo che ci porti gradualmente a strutturare una rete di comunità presiedute da un prete, possibilmente coadiuvato da altri preti e da diaconi, costruita intorno a un “centro eucaristico”, cioè a quel luogo in cui le comunità convergono per la celebrazione eucaristica domenicale” scrive il presule torinese, sottolineando come cambiamenti importanti sono però accompagnati dalla fatica, da comodità che si possono perdere ma che si deve “dare più rilievo al valore di una celebrazione eucaristica viva e coinvolgente che alla fatica di qualche spostamento”. E ancora, l’esortazione a lavorare sulla fraternità, l’essere comunità, vivere la piena corresponsabilità, valorizzare le esperienze laicali dove non sempre può esserci un sacerdote, tenere viva la parrocchia anche se non c’è un prete che celebra regolarmente l’eucaristia.
Provocazioni, uno sguardo verso il futuro che tra qualche tempo potrebbe chiedere scelte importanti anche nelle nostre chiese: la relazione di don Aversano ha aperto il secondo giorno di lavoro nei tavoli e gettato il seme per la terza sera, quando, dopo l’introduzione del cardinale Miglio e di don Giuseppe Tilocca, che ha moderato i tre giorni del Convegno, l’assemblea è stata invitata a uno sforzo di progettazione. A partire dai germogli del mercoledì sera, i ventuno tavoli – divisi per tre macro ambiti pastorali – sono stati chiamati a proporre idee concrete per il nuovo anno pastorale 2023/2024 che il Convegno diocesano ha aperto.
Nelle pagine interne di questo numero abbiamo pubblicato le “nuvole” delle parole generate dal confronto ai tavoli dei primi due giorni, una soluzione che ha coinvolto l’assemblea grazie a un’applicazione che la segreteria ha gestito tramite smartphone con i ventuno facilitatori.
Di seguito alle “nuvole” potete leggere le idee germogliate nell’assemblea conclusiva di giovedì 21. Come ha concluso il cardinale Arrigo Miglio, nostro Amministratore apostolico, ora spetterà agli uffici lavorare per dare concretezza a questo frutto di spontanea e genuina progettazione, “germogli” di una Chiesa in cammino.
Articolo pubblicato su Sulcis Iglesiente Oggi n. 33 del 1° ottobre 2023