Intervista di Giampaolo Atzei
Foto di Efisio Vacca
Don Mario Aversano è stato il relatore delle prime due giornate del convegno diocesano. Nato a Carmagnola nel 1974, è stato ordinato presbitero nel maggio 1999. Counsellor professionista a indirizzo sistemico-relazionale, nella diocesi di Torino è stato vicario parrocchiale, parroco, vice-rettore del Seminario Maggiore, rettore del Seminario Minore e della Comunità Propedeutica, direttore del Centro Diocesano Vocazioni e poi del Centro Regionale Vocazioni. Dal 2015 è direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale della Famiglia, dal 2020 direttore della Commissione Regionale di Pastorale della Famiglia; dal 1° settembre 2022 è vicario episcopale per la Pastorale sul territorio delle diocesi di Torino e Susa.
Da Torino a Iglesias, due giorni di confronto sul volto futuro della Chiesa.
Sono rimasto impressionato dalla disponibilità dei partecipanti a mettersi in gioco. Tra gli operatori pastorali si registra spesso una certa stanchezza, una buona dose di disillusione. Invece sì è percepita una profonda disponibilità “vocazionale”, il desiderio di condividere la gioia del Vangelo.
Un convegno vissuto come piena esperienza nel cammino sinodale, dall’ascolto al confronto nei tavoli. Che testimonianza possiamo restituire alle nostre comunità?
Alla base del convegno non c’era la pretesa di trovare soluzioni universali e definitive ma il tentativo di precisare i criteri per essere comunità cristiana oggi. È necessario partire sempre dalla Parola; esercitare la nostra capacità di ascolto; approfondire la fraternità e la collaborazione tra presbiteri, diaconi, laici e consacrati. E soprattutto assumere la logica della corresponsabilità: siamo chiamati insieme a “sposare la realtà” (rebus sponsus), questo mondo che Dio ha tanto amato da donarci suo Figlio.
La “casa scoperchiata” è stata l’immagine della prima giornata…
Davvero intensa la pagina del vangelo di Marco (2,1-11): la chiesa è l’assemblea, la fraternità che si raccoglie intorno al Signore, la comunità costituita dall’ascolto della Parola. La chiesa è la casa della con-vocazione, esperienza di relazione e correlazione al Fratello che ci fa fratelli e sorelle, familiari di Dio. La chiesa non può che essere estroversa, aperta sul mondo, appartenenza attrattiva e inclusiva; non club elitario ma casa dal tetto scoperchiato, capace di aprire varchi perché altri possano incontrare il Signore. Non è forse questa la vocazione dei discepoli missionari e degli operatori pastorali? Mossi dalla fede nel Signore, siamo chiamati ad aprire vie di accesso a Lui con creatività e passione.
…mentre i “germogli” hanno invece segnato la riflessione della seconda giornata.
L’immagine del germoglio suggerisce prima di tutto un cambiamento di sguardo: la capacità di non lasciarci totalmente distrarre dalle cose che non funzionano (dai rami secchi che evidentemente fanno parte anche delle nostre “vigne”) per riconoscere le esperienze vive, genuine, evangeliche che sussistono oggi nelle nostre comunità. Ricominciare dai germogli significa dare credito alla grazia di Dio: è Lui che instancabilmente continua a operare nella storia delle persone. Non è mai facile mettere in discussione strutture e consuetudini delle nostre parrocchie, attraverso cui abbiamo maturato cammini di fede e senso di appartenenza. Ma proprio la consapevolezza dei germogli, di ciò che esprime promessa di futuro, può ispirare il cammino della Chiesa e il desiderio di vita delle nostre comunità.
Intervista pubblicata su Sulcis Iglesiente Oggi n. 33 del 1° ottobre 2023